domenica 23 dicembre 2012

Accendete quel forno.

Cari amici e care amiche, nell'augurarvi un sereno Natale, per chi lo festeggia, vi saluto con un articolo a tema. Forse per molti di voi ormai è tardi per una riflessione. O forse no. Avete comprato dei regali per bambini in questi giorni? Siete stati attenti a non favorire il dilagare degli stereotipi? No, perché i bambini, alcuni, potrebbero accorgersene. Altri invece potrebbero accorgersene troppo tardi. La maggior parte non se ne accorgerà mai. Sigh.
Tanti auguri!

IL FRATELLO PIÙ PICCOLO VOLEVA UN FORNO, MA IL PRODOTTO ERA PENSATO PER LE RAGAZZINE

Una petizione (online) per il forno unisex
Una bambina convince il colosso Hasbro

Complice un video su YouTube e le migliaia di visualizzazioni induce il produttore a realizzare prodotti per "maschietti"

«Che cosa vorresti per Natale? Un dinosauro e un fornetto», risponde sorridente alla sorella 13enne McKenna il piccolo Gavyn Pope, del New Jersey. Ma il forno in questione, prodotto dalla Hasbro, modello “Easy-Bake”, è disponibile storicamente in America come in Europa solo nei colori rosa e viola. E la pubblicità che lo reclamizza tra un cartone e l’altro alla tv coinvolge solo personaggi femminili. Proprio questa discriminazione nei confronti dei maschi per un gioco che potrebbe, potenzialmente, interessare entrambe i sessi, ha fatto molto arrabbiare la sorella maggiore McKenna che ha così deciso di sollevare il problema e, per ottenere attenzione, a fine novembre ha lanciato una petizione online.
LA PETIZIONE – In poche settimane, complice il video di YouTube (che ha raggiunto le 150mila visualizzazioni), la petizione pubblicata sul sito di Change.org ha superato le 45mila adesioni. Nel testo, l’adolescente del New Jersey chiede espressamente al produttore Hasbro di ricordarsi anche dei maschietti come suo fratello Gavyn e di produrre un forno giocattolo i cui colori, packaging e promozione siano unisex.
LA RISPOSTA - Proprio la grande risposta da parte degli altri utenti ha convinto la Hasbro a rispondere, invitando la ragazzina nei suoi uffici di Rhode Island, dove con la sua stessa famiglia ha potuto vedere i nuovi colori, nero, blu e argento, del forno unisex che verrà commercializzato già prima della prossima estate negli Stati Uniti. Oltre alle molte persone comuni, la petizione di McKenna aveva ottenuto adesioni anche da parte di alcuni grandi chef famosi negli Stati Uniti per aver partecipato a trasmissioni culto come Top Chef, che si erano adoperati e avevano girato video di supporto alla causa della “cucina per tutti”, già da bambini.
STUDIOSI ANTI-DISCRIMINAZIONE – Non è la prima volta che il tema della discriminazione per generi nel campo dei giocattoli tocca le cronache di tutto il mondo: nel 2011 scatenò un acceso dibattito un post della neurologa Laura Nelson che chiedeva a Hamley’s, il grande negozio di giocattoli presente nel centro di Londra, di smettere di “segregare” e differenziare con colori e piani diversi i prodotti per femmine e maschi. Per la dottoressa, una tale e spiccata divisione non faceva altro che condizionare i bambini alla discriminazione tra i sessi già in tenera età. Carol Auster, sociologa americana autrice di uno studio sul marketing del giocattolo, rincara la dose sulla responsabilità delle aziende: «Se i responsabili marketing continuano a promuovere giocattoli basati sullo stereotipo di genere, questi stereotipi continueranno a venir perpetrati, proprio perché sappiamo che anche il marketing è parte della socializzazione». Nel suo studio, che ha preso come esempio il sito di Disney, ha dimostrato come l’85 per cento dei giochi di colore rosso, marrone, grigio e nero sia dedicato ai maschi, mentre l’85 per cento degli oggetti rosa e il 65 per cento di quelli viola sia riservato alle femmine.
UN CATALOGO UNISEX – E proprio nelle ultime settimane, in un Paese in cui le differenze di genere vengono da sempre combattute, la Svezia (si pensi al progetto dell’asilo Egalia per bambini “senza sesso”), un produttore di giocattoli ha deciso di diffondere il catalogo per gli acquisti natalizi rigorosamente unisex. I prodotti vengono presentati indifferentemente per maschi o femmine, così vi si trova una ragazzina che abbraccia un fucile arancione e un bimbo sorridente che sistema le bambole dentro una casetta arredata di tutto punto, mentre una coppia, maschio e femmina, combatte tra mostri e dinosauri alati. «Non è questione di maschi e femmine», dichiara il responsabile della catena, «si tratta di giochi per bambini, tutto qui».
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lunedì 10 dicembre 2012

Quelle cose sconvenienti (for women and for men)

Ci sono cose nella nostra vita di umani che sono veramente sconvenienti.
Ognuno di noi, da piccolo, viene educato da subito su tutto quello che non bisogna fare, così da ottenere, per esclusione, un elenco più o meno breve di cose che si possono invece fare. Come in ogni training che si rispetti, l'educazione si compone di nozioni base e nozioni avanzate. Fanno parte di quelle base, tutte quelle istruzioni che riguardano la governance del nostro corpo. Cioè, prima ti insegnano come gestirlo, limitarlo, contenerlo e poi, nella sezione avanzata, come tenerlo pulito e come muoverlo. E ora dalla teoria passo agli esempi pratici:

CORSO BASIC
- non si mettono le dita nel naso
- non si rutta
- non si scoreggia
- non ci si fa la pipì addosso, e nemmeno da altre parti che non siano la tazza del wc (DENTRO la tazza, sui bordi non vale)
- non ci si fa la cacca addosso e tutte le indicazioni del caso della pipì 
- quando si starnutisce si mette la mano davanti alla bocca
- quando si tossisce si mette la mano davanti alla bocca
- quando ci si ravana con lo stuzzicadenti, si mette la mano davanti alla bocca
- non si parla con la bocca piena
- e tutte le altre cose che ci insegnano che un cattivo spettacolo della nostra bocca è veramente disdicevole (focus su: non si grida e non si ride sguaiatamente)

CORSO ADVANCED
- ci si lava le mani dopo aver usato il bagno
- ci si lava le mani prima di mangiare
- ci si lava
- ci si cambiano gli indumenti intimi con periodicità quotidiana
- si sta seduti composti
- in linea generale, si evitano tutti quei comportamenti che ci verrebbero istintivi e naturali, se vivessimo in una giungla 

Poi c'è anche una specializzazione MASTER, ma è sempre meno usata:
- non si mettono le mani in tasca
- non si mettono i gomiti sul tavolo
- non si mettono in imbarazzo le persone
- non si dicono le parolacce
- non si bestemmia
- non si alzano le mani
- nemmeno se provocati

E dove sarà l'attinenza di tutto questo al tema sociale di questo blog?
Beh, è esperienza comune nella nostra società che esistono delle deroghe non scritte a queste regole. E queste deroghe sono tutte a favore degli uomini, mai delle donne.
Una donna che si scaccola, che rutta e che scoreggia sarà sicuramente emarginata dalla nostra società. E un uomo? Quel briccone che alla fine della cena si beve un sorso di birra e recita le vocali ruttando, che ripercussioni avrà? La donna che si siede su una sedia a gambe divaricate non si può guardare, ci insegna la società. E un uomo?
I bagni delle donne sono sempre pulitissimi: possibile che non succeda mai che una la faccia fuori dalla tazza? E i bagni degli uomini?
Alla fine, le femminucce crescono pesantemente sanzionate a ogni sgarro della regola, coi maschietti si chiude sempre un occhio, perché in fondo continuano a essere dei piccoli grandi animaletti selvaggi, i nostri ometti cacciatori. Che buffi. Che teneri.

E arrivo a un'amara constatazione: su questo blog, una delle chiavi ricerca più frequente è "Incontinenza urinaria". Mi sono documentata su questo, sul serio. Tutti siamo incontinenti, chi prima e chi dopo. Chi uomo e chi donna. Ma non si sa perché, quando si tratta di pensare ai ripari, ci si affanna per trovarli solo alle donne. Insomma, prendiamo il caso di Lines Perla per esempio. Cioè, voglio dire, ben venga una linea di prodotti che mi permette di comportarmi come una ragazzina di 15 anni sprigionando un delicato profumo di mughetto anche se me la faccio addosso. Sul serio. Son progressi della ricerca & sviluppo.



E così me lo raccontano anche nello spot video: posso entrare in un ascensore senza temere di attirare su di me l'attenzione della gente perché puzzo di urina. È interessante notare però che alla fine, in quell'ascensore, entra un uomo, per il quale nessuno si preoccupa. Non si sa se è perché tanto gli uomini si sa che puzzano e non curano la loro igiene, o se perché gli uomini non sono incontinenti. Ho il sospetto che sia la prima ipotesi.
E quindi mi viene da concludere dicendo che noi donne, per una volta, siamo fortunate a ricevere tutte queste attenzioni commerciali. Abbiamo a disposizione dei prodotti che ci risolvono una bella scocciatura. Ho il pavimento pelvico un po' moscio? Mi compro un Lines Perla.
Però, d'altra parte, un po' mi rode. Perché mi si conferma che, come tutte le cose sconvenienti, l'incontinenza urinaria è sconveniente soprattutto (solo) per le donne. L'uomo piscione va bene così. E chissà invece quanto se la passa male, e con lui tutti quelli che entrano nel suo stesso ascensore. Dai, fatela questa linea Lines Perla for Men.

venerdì 30 novembre 2012

Off topic

Per la prima volta dalla nascita di questo blog, vado fuori tema e posto un pezzo che non riesco a smettere di leggere. L'ha scritto la mia amica Marta Zacchigna, che a differenza mia, che faccio puro esercizio di stile, è una vera scrittrice. E se qualcuno si domandasse che cosa differenzia uno scrittore dal resto del mondo, qui lo potrà capire.
Se qualcuno volesse lasciare dei commenti a questo post, pubblicato su microclismi.com un paio di giorni fa, può farlo a questo link: http://www.microclismi.com/2012/11/28/il-fazzoletto-ripiegato-in-quattro/#comments

Buona lettura.

Il fazzoletto ripiegato in quattro

Questa mattina ho preso l’autobus. Sono salita con le mie cuffiette e l’Ipod e la mia borsa piena di tutte quelle piccole cose inutili che ci fanno sentire sicuri. Mi sono seduta vicino ad un anziano signore, distrattamente. Era l’unico posto libero.
Fermata dopo fermata, noto la fermezza del corpo che mi sta accanto, nemmeno un movimento, nonostante l’oscillazione della corsa, quasi una stasi dell’anima. Mi accorgo che il suo pantalone a costine è liscio, noto la scarpa consunta. Anche quella calza blu con elastico molle ha avuto stagioni migliori. Risalgo con lo sguardo, la camicia è macchiata. La giacca ha l’aria di essere stata sulle spalle di più persone. Gli guardo le mani: una abbraccia una borsa ecologica quasi sfondata (rispetta la natura), giallo canarino. L’altra stringe un fazzoletto di stoffa quadrettata.
Piange questo Signore. Si asciuga le lacrime. Forse perchè è il 28 del mese e la pensione minima è finita da un pezzo. Si accorge che lo sto guardando, e che sono turbata di avere la disperazione così vicina. Cerca un contegno in quel fazzoletto ripiegato in quattro, e si rannicchia come nella vergogna per una debolezza non più condivisibile.
Gli sono rimasta accanto senza dire nulla, ma ho sentito il suono muto di quell’abbandono alla tristezza invernale, che non cerca più consolazione e che chiede solo gli sia risparmiato qualsiasi slancio compassionevole. Vado al discount, a fare la spesa, come tutti, come tanti.
Ieri ho letto sul giornale che una quindicenne si è sparata. Qui, nella mia città, vicino al mare. Ho un déjà vu. Deve essere successo anche qualche mese fa. Un’altra ragazza. Se ne era parlato.
Allora oggi ho pensato a questo, mentre tenevo la fronte appoggiata al finestrino dell’autobus 22 che dall’Ospedale porta alla Stazione Centrale, mentre vedevo il mio alito appannare il vetro e sentivo il singulto di un settantenne triste a pochi centimetri da me.
… ho pensato che un Paese dove gli anziani piangono con le borse della spesa vuote, e gli adolescenti si ammazzano nella stupita, indignata sorpresa generale, è un Paese che ha perso la scommessa con la Storia. Io vorrei portare la classe politica tutta dentro a quell’autobus delle otto e trenta a fargli fare un bel giro. Portarla al Discount e far mangiare loro un tonno di qualità scadente, direttamente dalla latta. Mostrargli la dignità di quel fazzoletto quadrettato di stoffa ripiegato perfettamente in quattro porzioni identiche, memore di tempi migliori. Così come vorrei che tutti ci fermassimo per un giorno, e ci chiedessimo, tutti insieme, in quale buio nero più del nero abbiamo trascinato il futuro.
Microclisma: E adesso vado a lavorare.
PUBBLICATO IN BLOG CONTRASSEGNATO  2 COMMENTI

lunedì 26 novembre 2012

Rinarrate: un progetto per raccontare la violenza (tra un X Factor e un Dexter)

Per la prima volta mi mancano le parole per un incipit che sia degno dell'argomento. Allora inizio a raccontare semplicemente com'è andata.
Un giorno mi contattano dalla redazione di Bora.la, portale di informazione locale online per coinvolgermi in un progetto assieme al GOAP, il centro antiviolenza di Trieste. Il progetto si chiama Rinarrate, e ha come obiettivo quello di far raccontare a una decina di donne, vittime di violenza, la loro storia e di pubblicarla sul web per far nascere un dibattito. Mi si chiedeva di fare un po' di formazione a queste donne, sulla scrittura creativa, su web, su blog. A me è sembrata un'idea bellissima. Scrivere fa sempre bene, sia a chi scrive, sia a chi legge. E finalmente a scrivere adesso erano proprio le protagoniste, loro malgrado, di vicende di cui andrebbe letto e parlato moltissimo.

Da anni mi occupo anche di formazione. Insegno la comunicazione alle aziende, ai manager, alle associazioni professionali, ai master. Ma l'ho fatto anche ai corsi di apprendistato, a idraulici, elettricisti, tornitori. Ho avuto davanti a me classi di tutti i tipi e di tutti i livelli: preparati, esigenti, puntigliosi, svogliati, disinteressati, maleducati. Ho fatto lezione a centinaia di persone, a volte sudando freddo, a volte improvvisando, a volte con l'applauso finale, a volte con l'indifferenza. Ne ho visti di tutti i colori insomma, perché ogni classe è sempre diversa e bisogna sapersi adattare ed essere pronti allo scambio, all'interazione, all'imprevisto. Un incubo ogni volta quindi, ma da cui esco sempre soddisfatta.
Però giuro, mai nella mia vita mi sono sentita così emozionata come quel giorno in cui sono entrata al GOAP di Trieste e mi sono trovata davanti quelle otto donne che volevano scrivere la loro storia. Improvvisamente mi sono passati davanti tutti i post di due anni di blog e mi sono sentita un'idiota. Totalmente inadeguata a misurarmi con queste donne che invece erano lì per sentire da me come avrebbero dovuto raccontarsi sul web. La porta era alla mia destra, vicinissima, ma per scappare ormai era troppo tardi.
Alla fine ho fatto appello alla razionalità, mi sono seduta, le ho guardate e ho pensato che avremmo tutte imparato qualcosa l'una dalle altre. In fondo questo blog è una sorta di prologo alle loro storie, un'introduzione che tenta di spiegarsi da dove nasca tutto quanto, i gravi problemi culturali della nostra società, gli stereotipi in cui incappiamo spesso e che contribuiamo ad alimentare senza nemmeno accorgercene. Certo, la violenza esiste di per sé. Il problema è che viene alimentata, giustificata e a volte proprio invocata. Da chi? Da noi, chi più chi meno. E quindi i problemi sono due: la violenza e la sua giustificazione. E il fatto che la si giustifichi impedisce anche che si faccia qualcosa per prevenirla. Non si fa educazione, non si spiega ai bambini maschi che usare le mani è sbagliato. Si sanzionano però le femminucce, quando lo fanno. Perché una femminuccia certe cose non le deve fare. Il maschietto invece è maschietto, si sa che è esuberante. I maschi vengono cresciuti come macchine da guerra e le femmine come fashion victims che hanno solo bisogno di un protettore. Questo nel 2012. Ma non lo dico io sulla base di osservazioni personali, lo dicono gli studi più recenti, le ricerche. E dicono che la situazione è in peggioramento.

Mi è piaciuto passare quelle due ore con quelle donne. Mi è piaciuto guardarle e conoscerle. Un paio di loro mi sembrava di averle già viste, da qualche parte. Mi è sembrato di conoscerle già. Mi sono sforzata di ricordare da dove. Ma poi in fondo che importa? Le conosciamo già tutti quanti, quando entriamo in quel negozio, quando vediamo quella cassiera al supermercato, quando ritiriamo quella raccomandata in posta, quando stringiamo la mano a quell'impiegata. Le donne vittime di violenza sono ovunque e sono tantissime e ci parliamo ogni giorno. Ma non ci pensiamo. Pensiamo che la violenza sia molto lontana da noi. Che si consumi in famiglie balorde, che non fanno parte del nostro giro. E invece no. Non è - solo - il disoccupato che beve e torna a casa infuriato. È anche l'avvocato astemio membro dell'associazione di beneficenza. È il notaio, il commercialista, il carabiniere, il nostro vicino di casa che vediamo all'assemblea condominiale che raccoglie le deleghe, è il vicino di brandina allo stabilimento balneare, è quello che guida il nostro autobus, è il personal trainer o il preside della scuola dei nostri figli. È il nostro vecchio compagno di classe delle superiori che da ragazzo ci faceva tanto ridere.

Oggi è partito ufficialmente il progetto Rinarrate. A questo link trovate il primo racconto. Ogni lunedì ne troverete uno nuovo, pronto per essere commentato e per essere conosciuto e divulgato. Ogni lunedì avremo la possibilità di comprendere quanto vicine a noi siano queste persone. Sia le vittime sia i carnefici. E avremo la possibilità di pensarci un po' su. Tra un X Factor e un Dexter.

Io, intanto, ringrazio Bora.la, Goap Trieste e tutte le donne che ho conosciuto in questo progetto, per avermi dato queste grandissime emozioni.
E invito tutti i lettori di questo blog a dare il loro contributo, commentando tutti i racconti.


venerdì 23 novembre 2012

Come la mamma!

Ammetto che ultimamente sto diventando piuttosto talebana su tutto ciò che concerne il lato "educazione dei bambini". Mi accorgo di non essere mai completamente rilassata quando entro in un negozio di giocattoli. Non mi diverto a comprare regali per bambini. Voi direte perché sono diventata vecchia, e in effetti potrebbe essere. Ma credo si tratti proprio di una presa di coscienza più amara, che mi fa guardare sempre più spesso a come siamo e, soprattutto, a come continueremo a essere.
Questo ragionamento mi porta alla consapevolezza che forse è arrivato il momento di FARE, dopo aver tanto, ma tanto parlato. E quindi mi sono ritrovata, nelle ultime due settimane, a dover comprare dei regali di compleanno per delle amiche dei miei figli. Una di 4 e una di 6 anni. E ho comprato dei giochi che implicassero lo sviluppo della creatività, in maniera del tutto neutra dal punto di vista del genere. Niente bambole, niente cicciobelli da accudire, niente kit da perfetta casalinga, niente rosa. Ne sono stata molto soddisfatta io e anche le bambine, quando hanno aperto i pacchetti.
Questa mattina invece, entro di nuovo nello stesso negozio per prendere altri due regali, questa volta per bambini maschi, molto piccoli. Ero già incattivita perché uscivo da una conferenza stampa del centro antiviolenza della mia città, di cui vi parlerò lunedì, con più freschezza. Ho accarezzato l'idea di prendere qualcosa per la cura della casa. A uno dei due avevo già regalato un ferro da stiro, forse adesso avrebbe gradito un aspirapolvere o un set di pentole. Entro ovviamente nell'area ROSA, dove tutto è rosa e dove ti si cariano istantaneamente i denti per la stucchevolezza dei messaggi. 

Mi avvicino agli scaffali "casalinghe in erba" e resto colpita da un chiaro segno di progresso: i due ferri da stiro che vedo non sono rosa, ma azzurri! Non solo, ma su una delle due confezioni, campeggia la foto di un bambino con una maglietta azzurra! NON CI POSSO CREDERE.
Cioè, guardate! Non siamo in grado di connotarlo chiaramente come maschio o femmina. Può essere sia uno sia l'altra. Qui c'è stato uno sforzo verso il progresso, è evidente. Okay, la scatola è rosa, ma il prodotto è azzurro. Il testimonial è transgender. Poi però hanno dovuto svaccare, come al solito. Hanno avuto un pentimento, una fatale esitazione. Non se la sono sentita di andare avanti. E hanno voluto subito mettere in chiaro qual era il modello da seguire: "come la mamma!"
E fra l'altro hanno anche commesso un errore di valutazione: se i miei figli dovessero prendere esempio da me, quel ferro da stiro sarebbe usato come fermo in libreria.

Niente da fare invece per la testimonial della scatola delle pentole: inequivocabilmente femmina, e quindi spacciata. 
Cara bambina, ridi ridi finché puoi. No, la scatola non è rosa, è rosso Ferrari, ma questo non ti esonera dall'occuparti della cucina. "Come la mamma", del resto. La Ferrari è per il papà, che se la guarda sdraiato in divano, al Gran Premio in tivvù.
Alla fine ho optato per due regali neutri, ma non ve li dico per non rovinare la sorpresa ai loro genitori.
Buon fine settimana a tutti. E cercate di non fare troppe cose come la vostra mamma!

mercoledì 7 novembre 2012

Tu quanti handicap hai?

Torno sul tema che più di altri mi appassiona, per deformazione professionale e per demenza personale: la segnaletica. Sulla pagina facebook di Donne in ritardo ci stiamo confrontando sui dilemmi che suscita questo segnale:



Ringrazio la mia amica che è arrivata fino in Norvegia per consegnarci questo rompicapo.
Dunque, il senso generale del messaggio è chiaro: le mamme sono portatrici di handicap. Io, che ho due figli, come mi è stato giustamente fatto notare, ho due handicap. Immagino che in caso di quattro figli ti riservino direttamente una corsia stradale, perché è risaputo che in Norvegia sono molto attenti alle questioni sociali.
E fin qui ci siamo. Voglio dire, va bene: prendiamo coscienza di avere delle difficoltà rispetto al resto della popolazione abile. E su questa scia proporrei anche dei posteggi gratuiti e riservati in prossimità di negozi e principali luoghi di interesse, ché camminare sotto la pioggia, il pupo per mano e le buste dello shopping non è proprio il massimo.

Ma poi ci sono quegli altri due.
Quello con le stampelle e quello col bastone.
E mi domando: "perché?"
E forse se lo domandano anche quelle due donne, girate verso di loro in attesa di una risposta.
Perché in Norvegia sentono la necessità di differenziare l'handicap? Mi dicono che il primo è un giovane che si è appena operato al menisco, mentre l'altro è un anziano col bastone. Un'ipotesi sensata. Ma continuo: "perché?"
Forse l'obiettivo era quello di escludere qualsiasi dubbio su chi far sedere e chi no sull'autobus. Magari si sono trovati malissimo sui mezzi italiani, dove veniva rappresentato solo l'uomo col bastone e quindi quello con le stampelle ha fatto il viaggio in piedi, assieme alle donne incinte e alle madri coi bambini. Magari il giovane operato di menisco ha chiesto il posto e gli è stato risposto: "Eh no, caro. Tu mica hai il bastone".
Ma allora mi dovete mettere anche tutti gli altri. Tipo quelli col braccio in gesso. Perché come si tengono quelli col braccio in gesso? Quelli non li facciamo sedere? E quelli con la storta alla caviglia? E quelli con l'ascella pezzata? Ne vogliamo parlare?

Rimango sempre spiazzata dalla creatività repressa che hanno gli autori dei segnali convenzionali. Per questo ho dedicato un tag apposta su questo blog sotto la voce "segnaletica". L'argomento è veramente curioso.

Comunque resta un fatto ineluttabile: se sei un uomo e hai un bambino in braccio, resti in piedi. Ma anche se sei donna, anziana oppure giovane e operata al menisco.

lunedì 29 ottobre 2012

Orrore a Halloween



Vorrei che guardaste questo. Me l'ha girato Chiara, una creativa molto in gamba che segue da lontano (per sua fortuna) le nostre vicende.
A questo video c'è un precedente di due anni fa, quando Sarah, una blogger del Missouri raccontò che suo figlio di 5 anni si sarebbe vestito da Daphne di Scooby-doo, suscitando un coro di critiche di molti lettori. La sua risposta fu in sintesi questa: “Che sia gay o meno, non m’interessa. È sempre mio figlio, ed ha cinque anni. Ed io sono sua madre. E se avete qualche problema con qualcosa, non ho alcuna intenzione di avere a che fare con voi. Perché il vostro è un ragionamento ridicolo, se mio figlio è gay è ok; lo amerò allo stesso modo. Di certo io non mi preoccupo del fatto che uno dei vostri figli possa diventare un guerriero ninja da grande”.

Tornando al video di oggi, negli Stati Uniti, trovo angosciante la dedizione che queste madri mettono nel cercare a tutti i costi una soluzione a questo problema. Perché questo per loro è in effetti un problema. Per fortuna c'è un happy end. Ma resta comunque un video perfetto per la spaventosa notte di Halloween.

venerdì 26 ottobre 2012

Menù rosa, sul Freccia Rosa, ovvero, quando essere uomo garantisce la sopravvivenza


È passato troppo tempo dall'ultima volta che ho parlato (male) di treni. Sono quindi lieta adesso di riprendere quei vecchi discorsi.
Ricordo con grande commozione il mio primo post su Trenitalia. Era il 1 ottobre 2010 ed era appena stata lanciata la campagna Freccia Rosa per le donne, una surreale promozione che prevedeva sconti alle donne purché viaggiassero accompagnate. Non a caso il titolo di quel mio post era Mille splendidi treni.
Sono passati due anni, ma il Frecciarosa (con una esse) continua a esistere, con tutto il suo contorno di fittizio mondo creato apposta per le donne, come se le donne avessero sempre bisogno di un universo "a parte". Che poi da "a parte" ad "apartheid" il passo è breve.
Ieri parto all'alba da Trieste e trovo ad accogliermi in stazione un Freccia Bianca truccato da Freccia Rosa: 

Ho molto riso per l'ironia involontaria di tutto questo. Le donne viaggiano ad alta velocità. Non lo trovate esilarante? E dove stiamo andando così veloci? Forse a fare la spesa prima che chiuda il supermercato. Non lo so. Ma poi mi fa sempre ridere il concetto di alta velocità applicato ai nostri treni. Soprattutto sul QUEL treno, che per arrivare a Milano ci mette un'eternità.
Ma insomma andiamo avanti.
Parto da sola. Come sempre del resto, quindi niente promozione. Faccio le mie cose a Milano. Riprendo un altro Freccia Bianca truccato.
Stanca morta.
Sento l'impellente necessità di un caffè.
E qui devo dire che una cosa buona Trenitalia l'ha fatta, siglando una partnership con illy. No, non mi pagano per questa affermazione. Lo faccio con piacere per promuovere l'economia della mia città. E anche perché illy è l'unico brand a cui sono veramente fedele. No, ho detto che non mi pagano!
Comunque mi bevo questo caffè nella carrozza bar e inizio a rinascere.
Ma poi muoio di nuovo, perché trovo su uno dei tavolini il menù dedicato alle clienti Freccia Rosa.

E quali prelibatezze hanno deciso di dedicarci questi campioni del marketing? Mmm, una succulenta colazione con Yogurt, bevanda calda e succo. La fiera dell'acido a una modica cifra di 5,50 Euro. E poi un pranzo a 11 Euro. E che mangio per pranzo? Un'insalata (che per darle un senso chiamano insalatONA) e una macedonia. Ah sì, e l'acqua, nel caso non fossi ancora sazia. MENU LIGHT lo chiamano. Anche se il nome più appropriato sarebbe MENU ZERO.
Ma non ero ancora completamente inorridita, perché non so se lo sapete, ma io in realtà sono un'inguaribile romantica. Io ci credo sempre. Sono ottimista. Penso sempre bene. E quindi d'istinto ho girato il menù per leggere le altre proposte sul retro. Magari c'era il menù carne, il menù pesce, il menù wannabe-fat. Non so, magari qualcosa di etnico anche. E invece, come per ogni inguaribile romantica, la commedia si trasforma in tragedia. Dietro non c'era niente. I menù "dedicati a tutte le donne" implicano una colazione da gastrite e un pranzo da fame. Che nemmeno in ospedale ti fanno mangiare così.
Tralasciamo il fatto che 11 euro per fare la fame mi sembrano eccessivi, ma che cazzo di pranzo è? No, okay, magari c'è veramente qualche donna che è a dieta. Ma le altre? Le altre che non sono a dieta, che stanno bene così, che amano le fettuccine al ragù o il filetto in crosta di pane e che l'insalata la mangiano come contorno e non come primo? Le altre, che sono la maggioranza, non sono evidentemente donne. Perché il menù parla chiaro: è dedicato a TUTTE le donne. Per cui se non ti ci ritrovi, vuol dire che sei un uomo. E se sei un uomo non hai bisogno di un menù light, anche se ti esplodono le coronarie dal colesterolo.
Ma a parte gli scherzi, se io fossi un'associazione che si occupa di prevenire e curare problemi legati all'alimentazione tipo anoressia e bulimia, qualcosa direi.
Ecco, io ve l'ho detto. Che non sembri sempre tutto una barzelletta.

mercoledì 24 ottobre 2012

"Faccio le pulizie e poi ti spacco la faccia"

































Ok, abbiamo un problema. Soprattutto io, che ne ho due. Ieri ho dovuto affrontare una discussione molto dolorosa con i miei figli maschi, rispettivamente di tre e quasi-sei anni. Guardavamo la pubblicità dei giocattoli in TV e loro si divertivano a fare la lista di quello che avrebbero chiesto a Babbo Natale quest'anno. Una lista che includeva qualsiasi gioco proposto ovviamente. O meglio, QUASI qualsiasi gioco. Per la precisione solo i giochi socialmente individuati come giochi per maschi. Quando sono arrivate le pubblicità delle varie principesse, c'è stato un coro di BLEAAAAAH! Accompagnato da cori da stadio e da considerazioni del tipo: "Che schifo! Sono giochi per femmine!"

Confesso che sul momento (ma forse ancora adesso) avrei preferito che mi dicessero: "Mamma, volevo dirti che mi drogo da quando avevo due anni e mezzo". Oppure: "Mamma, io in realtà non sono tuo figlio, sono una marionetta".
Cose così.

Invece ho dovuto sentire e subire tutto questo in silenzio. Oddio, in silenzio non tanto. Chi legge questo blog da un po' di tempo, può immaginare la mia reazione a riguardo. Ho ristabilito l'ordine soltanto dopo averli minacciati di buttare alle fiamme la loro cucinetta Ikea con tutte le pentole e i bicchieri, di defenestrare il bambolotto che piange quando gli levi il ciuccio, di buttare nell'immondizia l'aspirapolvere e di bastonarli con il mattarello che usano per preparare i biscotti col papà. Così potranno veramente iniziare la loro tanto amata vita da maschioni.

Come se tutto ciò non bastasse, la situazione si è anche aggravata con lo spot del nuovo castello di Cenerentola di Mattel. Purtroppo non l'ho trovato in rete, ma recita più o meno così: "bla bla bla...magia...bla bla...sogni...bla desideri...bla bla bla...finisco di pulire e vado al ballo...bla bla...felicità...principe...bla bla bla"

EH??? FINISCO DI PULIRE E VADO AL BALLO???

Ma siete completamente rincoglioniti o cosa?
Già la storia di Cenerentola è avvilente per qualsiasi donna, e di questo abbiamo già discusso ampiamente in passato (basta che digitiate "Cenerentola" nello spazio di ricerca su questo blog). Già dobbiamo ancora oggi fare i conti con le false aspettative che quella fiaba ci ha indotto, e quando pian piano, forse e con tanti sacrifici ne stiamo venendo fuori, ecco che ci propinano la versione peggiorativa della storia! Cioè, almeno nel film della Disney era chiaro che Cenerentola era infelice con la matrigna e le figlie! L'abbiamo vista piangere, povera creatura! Lei non voleva fare la serva! Voleva andare al ballo e sposare il Principe.
E invece in questo spot che mi dicono? "Finisco le pulizie e vado al ballo". Lo so, lo so, sembra un'inezia, un particolare insignificante. Sembra che mi fisso. Ma la questione invece è importante. Le parole sono importanti. Soprattutto quelle buttate là, in uno spot per un giocattolo per bambini. Non c'è tensione in questo spot, non c'è dramma. Tutto è bello, magico, fantastico. Altrimenti il gioco chi se lo compra? Ma così passa anche il concetto che è ASSODATO che prima di andare al ballo si devono finire le pulizie. Come quando dico ai miei figli maschi: se prima non mettete a posto non si va a casa degli amici. E così la Cenerentola di quello spot non soffre a fare le pulizie. No. Dopotutto sono solo una fase necessaria prima di andare a divertirsi. E infatti nel castello di Cenerentola ci sono le stanze fatte apposta per sintetizzare e stemperare in un unico ambiente tutta la sua storia. Troviamo l'armadio con il primo vestito, troviamo il vestito del ballo e troviamo la scopa col secchio. Tutto insieme.
Ma dovete sentire poi il tono con cui la bambina-Cenerentola dice "Finisco le pulizie e vado al ballo"! Serena, emozionata, felice. Un film dell'orrore.

Ma poi sembra che io non voglia fare le pulizie e ce l'abbia con l'igiene domestica. Ma no. Va bene. Facciamole queste pulizie. Anche prima di andare al ballo. Però voglio che poi, anche i Bakugan, anche i Gormiti, i Ninjago e tutti i mostri del mondo facciano la stessa cosa prima di andare a combattere. Voglio sentire il prossimo spot di Ben Ten che dice "Faccio le pulizie e poi vengo a spaccarti la faccia". Allora va bene.
Intanto, il castello di Cenerentola sarà il regalo di Natale dei miei figli.

martedì 23 ottobre 2012

Parenti serpenti


Riprendo da uno dei commenti al mio post precedente "Lo scarrafone": le famiglie di chi si macchia di violenza contro le donne hanno spesso una responsabilità indiretta per l'educazione che hanno impartito ai loro figli, anche se spesso negano di averne una. Anzi, in genere si comportano come se fossero loro a subire dei torti, un ingiustificato accanimento.
Per questo pubblico, su indicazione di Patrizia Menchiari, che ringrazio, una lettera tratta da La 27esima ora del corriere.it. Si tratta di una lettera che ha scritto tale Giovanna, 37 anni, ai genitori del suo stalker. Ma potrebbe anche essere di Carla, Francesca, Federica e qualsiasi altro nome.
La morale della storia è: per cortesia, cari genitori di figli maschi (tra cui mi inserisco anch'io), impegnatevi a educare i vostri figli come se steste educando delle figlie femmine, con la stessa attenzione. Fatelo innanzitutto per loro. Ve ne saranno grati. E con loro anche molte donne. E infine i loro figli, che poi saranno i vostri nipotini. QUESTA è la vostra responsabilità.
Gentili Signori,
l’onorevole titolo di “figlia acquisita” di cui mi avete insignita, mi autorizza ad esprimere il mio parere in assoluta libertà senza chiedere autorizzazioni o porgere scuse (…). Un antico ma particolarmente calzante detto recita “La verità è figlia del tempo” e proprio nel tempo è venuto a galla quanto per anni avete cercato di insabbiare.
La mia più grande soddisfazione ad oggi non è tanto la carcerazione di Carlo quanto l’avervi messo davanti ad uno specchio. Nessuno ha brindato o gioito il giorno della sentenza, si è provata solo un’immensa tristezza confortata dalla consapevolezza del trionfo della Giustizia. L’unica soddisfazione che mi sto togliendo è scrivere queste righe che non sono dettate da astio o risentimento ma da semplice buon senso.
Sono state commesse troppe leggerezze nell’educazione di Carlo (…) Si è preferito soprassedere sulle anomalie del suo comportamento sia per non alimentare pettegolezzi tra vicini e parenti sia per l’altissima considerazione in cui viene tenuto il figlio maschio, magari provando una punta di orgoglio nel vedere che sa come farsi “rispettare” dalle donne.
Ma a chi è giovato? E’ valsa la pena rovinarlo per non aver voluto imporsi e per non aver avuto l’umiltà di ammettere di non possedere gli strumenti per ricondurlo sulla retta via, cedendo il posto a specialisti quali psicologi o assistenti sociali che potessero farne un individuo autonomo, onesto, dignitoso, capace di badare a se stesso? (…) La polvere va rimossa, non nascosta sotto al tappeto.
Avreste potuto anche denunciarlo compiendo così il più grande atto d’amore nei suoi confronti tendendogli una mano per salvarsi da se stesso. Ma avete preferito limitarvi a sgridarlo ogni tanto come si fa coi bambini quando lasciano i giocattoli in disordine e il fatto che il nostro sistema giudiziario non vi reputi perseguibili, vi esonera sì da responsabilità legali e formali, ma non morali.
Generando un figlio avete sottoscritto una sorta di “contratto” con la società, contratto che vede i genitori garanti della consegna ad essa di una persona degna di farne parte: cosa vi ha autorizzato ad infrangere questo patto? Chi vi ha autorizzato a consegnare al mondo una persona con così tanti squilibri, che gioca a rovinare la vita degli altri? Cosa è stato per voi più importante del benessere di vostro figlio? (…)
Non sono madre, ma sono figlia e se sono cresciuta sana, con una formazione adeguata ai tempi e capace di badare a me stessa, è stato soprattutto grazie ai divieti opposti dai miei genitori che si sono tradotti in dolorosi ma formativi NO. Se io sbaglio nessuno mi compra un’auto più potente della precedente o mi permette di togliermi il capriccio del cane o mi copre inventandosi le scuse puerili che sentivo a casa vostra, una per tutte quella dell’invidia dei parenti…Invidiarvi per cosa? per i pavimenti brillanti forse, ma a che serve una casa tanto pulita se sono sporche le intenzioni e la coscienza?
Il messaggio che avete trasmesso a Carlo è che chi sbaglia non solo non paga ma viene perfino premiato.
(…) Se vi foste comportati come dei genitori e non come degli albergatori, a quest’ora la situazione sarebbe molto diversa: a Carlo non servono lenzuola pulite o gustosi manicaretti o camicie perfettamente stirate che lo rendano credibile, ma persone che siano per lui di esempio. E comportarvi civilmente con le sue vittime, dopo tutto quello che ci avete costretto a sopportare, avrebbe potuto rappresentare un momento significativo per lui, mentre avete assunto l’atteggiamento di chi il torto lo ha subito.
A che è servito coprirlo, difenderlo, appellarsi quando è indifendibile anche agli occhi del suo stesso avvocato? Cosa potete ancora opporre agli atti dei Tribunali, tutti assolutamente concordi sull’attitudine delinquenziale? Se non avete voluto aiutarlo a crescere, accettate che ora siano le istituzioni a farsi carico di 38 anni di omissioni.
(…) Non si è voluto prevenire, nonostante le numerose avvisaglie che il ragazzo vi ha mandato negli anni, a danni fatti  ma nemmeno correre ai ripari con il risultato che le istituzioni ora semmai lo puniranno e non lo rieducheranno, peggiorando così una situazione già molto critica. E purtroppo siamo state noi vittime a chiederne l’intervento esponendo noi stesse e le persone a noi vicine al rischio di ritorsioni e vendette future.
(…) Dove eravate mentre con me si comportava in modo tale da farsi condannare a due anni di carcere o mentre tormentava le altre vittime? Ha sempre vissuto con voi se ben ricordo.
So bene che chiedergli chiarimenti comporta minacce se non aggressioni, ma voi siete la sua famiglia ed è vostro preciso dovere prendere provvedimenti preventivi o riparatori: abbiate il coraggio di affrontarlo, è il vostro sangue, non potete ne’ temerlo ne’ ignorarlo, sarebbe come dire che temete la vostra testa o il vostro cuore. E se doveste avere la peggio, a parer mio è più giusto e coerente che al pronto soccorso ci finiate voi piuttosto che la sottoscritta.
(…) Mia madre, anche se sono alla soglia dei 40 anni, fruga ancora nelle mie tasche e nel mio cestino se fiuta qualcosa di poco convincente che mi riguarda. Non vi mancano la luce e l’aria nel tenere continuamente la testa sotto la sabbia?
(…) Siete stati talmente “distratti” da non riuscire a controllarlo nemmeno nel periodo dei domiciliari: rendendo inaccessibili telefoni e computer forse si sarebbe risparmiato una condanna. E dopo aver perso anche in appello, un giorno l’ho trovato a 200 metri da casa mentre andavo in ufficio alle 9.15 del mattino intento a simulare un incontro casuale per avvicinarmi e provocarmi. Episodio che mi ha costretta a deviare verso il Commissariato……ma chi è Carlo per voi? Possibile non riusciate a tenerlo a bada nemmeno in un momento così delicato? Cosa aspettate per intervenire, un omicidio? Sforzatevi di vedere il positivo di questa vicenda: non dovrete più fingere normalità e spensieratezza.
La messa in scena è terminata, non dovete nemmeno più simulare quell’ipocrita aria trionfante che avevate nel mostrarmi il casellario nel 2006 quando ancora godeva del beneficio della non menzione. Umanamente è comprensibile l’amarezza che provate, ma è l’atteggiamento di sufficienza che avete assunto ad essere quasi diabolico. Fate che Carlo sia e resti un problema vostro e non mandatelo in giro a turbare la serenità di famiglie oneste (…)
Se poi siete talmente avvezzi a trattare con poliziotti e avvocati da pensare che facciano parte del quotidiano di chiunque, vi informo che personalmente ho varcato la porta di studi legali, commissariati, di un pronto soccorso e di un carcere solo dopo aver incontrato voi e da quando siete usciti dalla mia vita non a caso non ne ho più avuto la necessità.
(…) Grazie a Voi ho conosciuto tutto ciò da cui la mia famiglia ha sempre cercato di proteggermi proprio come farebbe qualunque famiglia coscienziosa.
A me rimane solo la consolazione di sapere che non può capitarmi nulla di peggio di quanto ho vissuto grazie a voi.
Vostra “figlia”

lunedì 22 ottobre 2012

Lo scarrafone

Questa mattina sono un po' inquieta. Apro cassetti, consulto schedari, ravano in libreria. No, perché qua bisogna stare attenti, che più che temere un controllo della Guardia di Finanza, che tutto sommato male non fa, dovremmo temere quello di qualche ex fidanzato, che potrebbe ritenersi oltraggiato dal fatto che, per esempio, io abbia fatto due figli con un altro. Potrebbe pensare che l'ho tradito. E di conseguenza potrebbe accoltellarmi nell'androne del palazzo. Nulla di più semplice, direi.
No, perché non so se avete letto le dichiarazioni di tale Samuele Caruso dopo che ha ammazzato Carmela Petrucci, la sorella della sua ex ragazza Lucia. Dice Samuele che lui e Lucia si sono conosciuti nell'aprile 2011 su facebook e che dopo un mese si sono messi insieme. Carini. Dice che poi non stavano più insieme, da tipo sei mesi, e che siccome un giorno ha visto su facebook che Lucia era ritornata con il suo ex fidanzato, lui si è sentito tradito. Dice che è stata Lucia a lasciarlo perché lui era troppo geloso. Ma no, non è vero che lui era geloso, dice Samuele. Anzi, era Lucia che lo escludeva sempre e che non lo portava mai alle feste, dove invece andava con la sorella.
Quindi che fa Samuele? Dice che voleva chiarire la situazione. Che, voglio dire, è una lodevole iniziativa se c'è qualcosa da chiarire. Ma in questo caso forse era solo lui che doveva chiarire a se stesso che la sua ex non lo sopportava più e che stava felicemente con un altro. Ma lui vuole chiarire con Lucia. E quindi che fa? Prende un coltello ed esce di casa.
Ora, vi confesso che anch'io purtroppo nel mio passato ho dovuto chiarire alcune spiacevoli vicende personali, ma uscendo di casa prendevo tipo le chiavi della macchina, le sigarette, il telefono, ah sì, le chiavi di casa. Forse anche un panino al prosciutto. Coltelli, mai.
Samuele Caruso invece prende un coltello ed esce di casa. "Mamma, io esco" Avrà detto alla mamma, che oggi tiene a precisare che suo figlio non è un mostro e che loro sono una famiglia perbene.
Samuele va a casa di Lucia, suona il campanello dicendo "pubblicità", entra in androne e aspetta. Quando arriva Lucia assieme alla sorella Carmela, lui le aggredisce entrambe e Carmela muore. Lucia oggi è in ospedale, dove la stanno curando per le 20 coltellate che si è presa da Samuele.
In sintesi, una ragazza muore e un'altra rimarrà sfigurata per colpa di un "bravo ragazzo", come dice la madre. Samuele ha detto al giudice che lui ha preso il coltello proprio per uccidere Lucia, nel caso il tradimento fosse vero. Cioè: è uscito di casa con un coltello, per uccidere la sua ex. Però è un bravo ragazzo, eh. Questi media fanno un gran baccano per niente. E poi viene da una famiglia perbene eh. Che non si pensi male!
Nooo, ma noi non pensiamo male, cara signora Caruso (perché immagino che ci tenga a portare il cognome di suo marito). Per carità, la vostra è una famiglia rispettabilissima, dove i valori vengono trasmessi ai figli in maniera ineccepibile. Immagino che lei, signora Caruso, adesso sia molto in difficoltà per la sciagura che si è abbattuta sulla sua famiglia. Probabilmente sarà molto difficile ora farsi vedere al circolo del bridge. Sarà un incubo. Suo marito che cosa dice a riguardo? No, perché non l'ho sentito. Ho capito solo che ogni scarrafone è bello a mamma sua, ma la sua posizione qual è? Perché questi valori che tanto decanta sua moglie li avrà trasmessi anche lei no? I valori del rispetto della libertà di una donna. Il valore che una donna ha il diritto anche di essere stronza, se vuole e di non portarti a una festa. Il valore che una donna è libera anche di tradirti, se vuole, ma sul serio, non dopo 6 mesi che non state più insieme. Il valore che non si mandano sms minatori quando qualcuno non vuole avere a che fare con te. Il valore che non si esce di casa con un coltello. Il valore che se uccidi a coltellate una persona non puoi essere definito "un bravo ragazzo".
Ecco, cari signori Caruso, sento della resistenza da parte vostra. Una resistenza nel rendervi conto di quello che è successo veramente. Una resistenza nel capire cosa rende veramente "bravo" un ragazzo. Che non è il successo scolastico, o lo stipendio, o la carriera, o fare la raccolta differenziata, andare a messa e aiutare la vecchina ad attraversare la strada. No. "Bravo" è il ragazzo che porta rispetto per tutti gli esseri viventi. "Bravo" è il ragazzo che riesce a distinguere un essere vivente da un oggetto. E comunque io in genere ho rispetto anche per gli oggetti.

Vi lascio con la foto dello scarrafone, tratta da Repubblica.it:


venerdì 19 ottobre 2012

La ladruncola, i tre carabinieri e il vigile urbano

Si è fatto un gran parlare del modo in cui i media trattano le notizie di violenza, di abusi e di omicidi nei confronti delle donne. Illustri giornalisti (senza distinzione di genere, peraltro), indulgono in espressioni tipiche del 1800 quando devono descrivere l'accaduto. "L'uomo era in preda a un raptus di follia" "La donna l'aveva tradito" "Gelosia incontrollabile" e molte altre. In tutti questi articoli della cronaca più nera del mondo, quello che viene sempre omesso è il fatto che la vittima, la donna, la moglie, la madre, la sorella, è un essere umano, con un'identità, una storia, una personalità. Cioè, non è un'entità astratta che il più delle volte "fa impazzire" e "annebbiare" la mente dell'uomo.
Allora, siccome oggi ero in cerca di facili prede (per mutuare il linguaggio di cui sopra), mi sono messa a sfogliare Il Giornale online. Ero tentatissima di scrivere un post sull'articolo "Meglio tigrotta o cappuccetto rosso sexy", ma volevo qualcosa di più, perché sono insaziabile. E in questo Il Giornale non mi delude mai. Di solito metto il link agli articoli di cui parlo, ma questa volta, siccome si tratta di un capolavoro, ve lo riporto integralmente:

Presunto stupro in camera di sicurezza, tre carabinieri rischiano il processo

La Procura di Roma ha chiuso l’inchiesta su una presunta violenza sessuale che sarebbe avvenuta in una caserma ai danni di una donna fermata per un furto. Nei guai anche un vigile urbano. Prima dell’abuso i quattro avrebbero fatto bere alcool alla vittima


Era stata sorpresa sul fatto a rubare in un supermercato e per questo era stata fermata e portata in una caserma del Quadraro, a Roma, costretta a trascorrere la notte in camera di sicurezza.
Un posto sicuro, dunque, in attesa che la giustizia facesse il suo corso. Quella nottata, invece, per la ladruncola di 33 anni, si è trasformata in un incubo. E per questo, ora, tre carabinieri e un vigile urbano rischiano il processo. Il procuratore aggiunto Maria Monteleone e il pm Eugenio Albamonte, infatti, ritengono che i quattro abbiano approfittato della donna, costringendola a subire le loro attenzioni sessuali. I magistrati hanno depositato gli atti dell’indagine, il passaggio che generalmente precede la richiesta di rinvio a giudizio.
Era la notte tra il 23 e il 24 febbraio del 2011. Per i pm i carabinieri Alessio Lo Bartolo, Leonardo Pizzarelli e Vincenzo Cosimo Stano e il vigile urbano Francesco Carrara avrebbero partecipato allo stupro con ruoli diversi dopo aver costretto la donna a bere alcolici mentre si trovava nella camera di sicurezza. L’accusa da cui rischiano di doversi difendere in un’aula di giustizia è quella di violenza sessuale. Una violenza, scrivono i pm negli atti della chiusa inchiesta, commessa «su persona sottoposta a limitazione della libertà personale e con l’aggravante dell’abuso dei poteri e doveri inerenti a una funzione pubblica e dell’uso di sostanze alcoliche». A Pizzarelli, quella sera piantone di turno, la Procura contesta l’aggravante di non aver impedito l’evento che, per il codice penale, equivale a causarlo. 


La prima cosa che mi ha colpito è l'estrema cautela che la giornalista - donna - mette nel parlare del crimine degli uomini, che in effetti è "presunto". Il procuratore e il pm "ritengono". I magistrati hanno depositato gli atti ed è un passaggio che "generalmente" precede un processo. Giusto, dico io. Nessuno è colpevole fino a quando non c'è una sentenza definitiva di un tribunale. Del resto mi pare che questo valga anche per Berlusconi. Molto bene.
Peccato che questo trattamento di grande civiltà e rispetto per la dignità umana non venga applicato alla donna: una "ladruncola di 33 anni". Ladruncola. Ladruncola anche senza che ci sia stato, nemmeno nel suo caso, un processo. Ma la giornalista ritiene attendibile la versione dei "presunti" stupratori, che dicono di aver colto sul fatto la donna a rubare in un supermercato, la cui versione non viene messa sotto condizionale, ma data per certa. La donna ha rubato. Ha commesso un crimine. Ladra (e probabilmente, senza la possibilità di querelare un giornale). Ma che vuoi, in fondo non era niente, una ladruncola. E ora, i tre carabinieri e il vigile urbano "rischiano" un processo. Come se avessero rubato la marmellata dalla dispensa: ahi ahi ahi, questa volta l'avete combinata un po' grossa figlioli, ma che non si ripeta più, eh.